L’ordine, il disordine e quell’irrinunciabile bellezza.
Appunti sparsi e riflessioni su “Grave disordine con delitto e fuga”, di Ezio Sinigaglia
(e sul non citato casino della mia scrivania)
di Nicola Argenti
diṡórdine s. m. [comp. di dis-1 e ordine]. – 1. Mancanza o turbamento dell’ordine, e lo stato delle cose disordinate; confusione.
Partiamo dall’idea di ordine e disordine. Non esistono, o meglio: ognuno di noi ha la sua visione e spesso ramifica in territori ben lontani da quelli della Treccani o dal comune sentire.
Le forme di ordine e disordine sono in costante mutamento, ciascuno le conforma alla propria dimensione, in base all’età, al carattere o all’esperienza.
L’Ingegner De Rossi è l’equilibrato e pacato protagonista dell’ultima fatica di Ezio Sinigaglia, Grave disordine con delitto e fuga. In questo breve ma energico romanzo troviamo, appunto, diverse proiezioni di quella complessa e mai ben definibile mappa delle profondità umane.
Il De Rossi ha una vita misurata, ottimamente organizzata, metodica e scrupolosa nel suo svolgersi. Oppure: il De Rossi ha una vita caotica, piena di incasellamenti-ripartizioni-valutazioni, aziende da tenere sotto controllo, una simmetria familiare da conservare gelosamente.
A mio avviso, mantenere l’ordine è – di fatto – un grave disordine. Per taluni, la sola esistenza dell’atto del riordino genera quella mancanza (d’aria, di libertà), quel turbamento che il dizionario stesso cita. E questo è incontestabile, tanto quanto dire che “il nero non è un colore, bensì l’assenza di ogni colore” oppure che “la più sorprendere dimostrazione che il nero, quando fatto di materia vivente, è il più luminoso di tutti i colori, e quello capace di accecanti prodigi”. Insomma, punti di vista. Prospettive difformi.
Nulla è ciò che appare nella sua condizione ordinaria, figuriamoci in una straordinaria. Lo stato delle cose può essere ordinato, lo stato dell’essere umano, forse, meno.
Tutto questo per riferirci alla condizione di apparente ordine dell’ingegnere protagonista, il quale – come nel più classico dei casi patologici – definisce “lieve” il disordine che lo colpisce, lo ritiene facile da sistemare e da collocare al posto giusto nella sua ordinata routine alto borghese. Meccanismo di difesa, minimizzazione della gravità, auto assolvimento.
Ma questo imprevisto porta con sé qualcosa che rompe ogni sicurezza, infrange ogni velleità di ritorno alla normalità: il fattorino Jimmy è di una bellezza disarmante, mai conosciuta, “impossibile” da concepire. Ed impossibile è anche solo pensare di non farci caso, di levarselo dalla testa o che il pensiero si risolva da sé. E mentre ci arrovelliamo noi – poveri lettori – se sia giusto seguire una pulsione così trascinante o sul perché andarsi a incasinare la vita in quel modo, giunge la soluzione sotto forma di Insegnamento Superiore, eredità di un’ironica, corrosiva e genuina madre – profonda conoscitrice di farmaceutica umana e di posizioni sociali – ovvero: la bellezza è il valore supremo.
La bellezza ammette qualunque eccezione. Anche un lieve disordine. Ogni teoria psicologica sembrerebbe abbattuta.
Inizia dunque – il nostro – a tessere una sottile ma vigorosa ragnatela, fatta di posture e movimenti del corpo, di fugaci scambi di battute, di odori persistenti e scie di buon umore, di espressioni rivelatrici, di sguardi impercettibili. Eppure è difficile capire chi sia davvero il ragno, ma cercare di interpretare il gioco delle parti è assai avvincente.
L’ingegner De Rossi è combattuto, l’ingegnere ha le idee chiaramente disordinate. Quel tassello fuori posto, apparentemente, è un rischio calcolato, come il rischio d’impresa, altrimenti perché lo chiamerebbero così? Perché verrebbe sempre incluso nei fattori di cui tener conto?
Di tasselli che rotolano fuori dagli schemi ce ne sono sempre, te ne aspetti sempre, il protagonista se li aspetta, eccome. È proprio quello il suo compito, rimettere a posto, sistemare le cose, tutte le bestie nel recinto. Ma questo è un animale selvaggio, sfuggevole, incomprensibile a tratti. Un predatore forse.
Ma l’Ingegnere ama la sfida, sogna e si abbandona alle fantasie sfrenate, quelle che un uomo della sua caratura non può permettersi e che il suo mondo, così come è fatto, non accetterebbe. Il desiderio diventa feroce, la fame di ordinare il non-ordinabile è inarrestabile. L’altare della bellezza ha le fattezze di un ospite fuori posto dalla pelle luminosa e cangiante e la bocca desiderabile, frutto proibito, e il De Rossi cerca e pretende l’appagamento del capriccio come assolvimento di un Valore Supremo. Non vuole ordinare, vuole possedere.
Quindi: non è affatto lieve la questione, è grave e non facile da sbrogliare, questo è chiaro – anche per una certa morale, ahimé direbbe qualcuno – e ancora più certo è che quando un ingranaggio esce dalla macchina articolata, a prescindere dall’escamotage, la confusione è inevitabile.
Poi sì, c’è un omicidio e una sorta di fuga, così come scritto nel titolo, ma questa è una parte della storia che salteremo, per ovvie ragioni.
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Risulta quasi piacevolmente intollerabile l’abilità di Sinigaglia nel padroneggiare un certo solfeggio di parole, un’ironia fulgida che guizza tra i periodi (che non soverchia, ma sostiene, come pilastro dell’architettura), la capacità di modellare le atmosfere, creare conformazioni linguistiche fascinose e liriche, robuste, di tecnica non comune. La sua grammatica è vivace ma severa, pretende attenzione.
La struttura narrativa non è facile, non si lascia semplicemente leggere; è senziente, vive e pulsa, dotata di ritmi ingegnosi che si innescano e si scambiano al suo volere. Questa struttura si muove felina tra le felci di figure retoriche e giochi di principali, coordinate e subordinate, poi – di colpo – accelera gli eventi, innesca una nuova narrazione e attira nella trappola della frenesia e del ritmo concitato, della smania di sapere, di vedere: NOI diventiamo l’Ingegner De Rossi. Come lui ostentiamo tranquillità, ma dentro ci affanniamo, perché vogliamo vedere, vogliamo sapere, vogliamo scoprire. Ci tratteniamo per non esplodere. Ma quella deflagrazione è, come detto prima, inevitabile.
Alla fine ce ne renderemo conto, affranti e sfibrati: siamo disordinati, tutti completamente disordinati.
John Barth, venuto a mancare il 2 aprile 2024, diceva che la buona letteratura richiede sia l’algebra che il fuoco, dove l’algebra rappresenta la Tecnica (o gli aspetti formali di un’opera) e che il fuoco rappresenta la Passione dello scrittore.
L’algebra e il fuoco sono due forze opposte. L’ordine e il disordine sono due forze opposte. L’incontro e lo scontro, tra queste, genera meraviglie, incubi, fantasie e riflessioni. La scrittura di Sinigaglia racchiude tutti questi elementi e – molto umilmente – a me pare che questa sia proprio vera Letteratura.
- GRAVE DISORDINE CON DELITTO E FUGA di Ezio Sinigaglia
Ed. Terrarossa
ISBN 9788894845488
Questa recensione è stata scritta da Nicola Argenti.
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